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“Noi che abbiamo visto Maradona”

Il ricordo dei ‘parmigiani’ Gigi Apolloni, Nestor Sensini e Fausto Pizzi che ha indossato la sua numero dieci

Quanto è stato difficile essere Maradona. Talmente difficile che molti dei suoi più cari amici sono rimasti in silenzio di fronte alla sua grandezza anche quando ha chiuso gli occhi. Per sempre. Non sono riusciti a lasciare un ricordo, immensa era la sua genialità, più grande – dicono – la sua fragilità. A poche ore dalla sua morte, a Napoli si pensa già di dedicargli lo Stadio, sicuri del fatto che San Paolo possa perdonarli, quasi a riconoscerne anch’egli che è Santo vero, l’alone di venerabilità che ha lasciato intorno a sé. Su questa terra, tutti hanno nominato almeno una volta nella vita Maradona. Molti hanno sognato di essere come lui: non necessariamente solo in campo.

Maradona è stato il calcio, è stato l’allegria, è stato la contraddizione dentro un contrasto di emozioni ancora più grande: Napoli. La stessa che è riuscito a portare sul tetto d’Europa, quella che oggi lo piange più di tutte le altre città dove Diego ha lasciato un segno. E che segno. Non c’è angolo di Napoli, ma davvero, che non sia decorato con Maradona, che non porti un segno di Maradona, che non conservi un ricordo di Maradona. Una cartolina. Un pensiero. Maradona è stato tanto, alle volte troppo. Tutto. E’ stato termine di paragone. Chiunque giocasse a calcio e riuscisse a segnare un gol, o a fare un dribbling si sentiva Maradona. “Uà, sei forte come Maradona”. Chi invece ci provava e non ci riusciva si sentiva dire: “Uà, ma chi credi di essere, Maradona?”. Quanto è stato difficile essere Maradona. Nel mondo blasfemo del calcio, Maradona è stato un dio, capace di unire gente diversa sotto la stessa bandiera.

“E’ stato il più forte del mondo”. Ha detto Gigi Apolloni, difensore d’altri tempi, uomo d’altri tempi. Elegante, talmente fine da andare via di tacco al calciatore per eccellenza: Marcare Maradona è stato un privilegio. Mi sono divertito quando l’ho incrociato con il mio Parma. Sin dal riscaldamento. Sapevamo di avere davanti il più forte, lo picchiavi ma si rialzava. Era di gomma. E non si arrabbiava, perché era talmente forte che aveva messo in preventivo di prenderle. Capiva. La sua grandezza si vedeva anche qua: mai una lamentela. E quella volta che gli sono andato via di tacco, è stato quasi una sfida. I miei compagni mi presero per pazzo. Maradona non disse nulla. Continuò a giocare”.

“E’ il giocatore che ho ammirato di più”, racconta Fausto Pizzi, altro parmigiano che ebbe l’onore e l’onere di indossare la sua maglia. La numero dieci del Napoli. “L’ho visto per la prima volta da vicino in un Inter- Napoli. Mi sono avvicinato a lui molto emozionato per  stringergli la mano e lui mi ha abbracciato calorosamente, come se mi conoscesse. Ho avuto l’onore – quando giocavo a Napoli – di indossare la sua maglia numero dieci. E’ stato molto bello il gesto dei miei compagni, hanno voluto che io indossassi quella maglia che per Napoli e i suoi tifosi era molto importante. Sono molto triste, oggi”.

E’ una giornataccia – dice Sensini -. Diego è stato il più grande con cui ho giocato, faceva delle cose che in Italia avete avuto modo di ammirare. Riusciva a fare con il pallone quello che gli altri neppure pensavano. Era il più forte di tutti. Oggi non ha potuto dribblare la morte, ma rimarrà sempre per noi il più grande”.

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