Il direttore del reparto di malattie infettive del policlinico San Matteo: “Il rischio zero non esiste, ma esistono comportamenti che possono abbattere notevolmente il rischio di contagio”
Raffaele Bruno è diventato, giustamente, famoso in questa triste parentesi dettata dall’emergenza coronavirus per due motivi: è lui ad aver curato il cosiddetto paziente 1 ed è sempre lui ad avere dato una decisa spinta alla terapia del plasma che fa tanto ben sperare per una migliore gestione sanitaria.
Il direttore del reparto di malattie infettive del policlinico San Matteo, però, è anche appassionato di calcio ed è il primo ad augurarsi che lo sport più amato dagli italiani possa ripartire presto: “Non conosco nel dettaglio il protocollo approvato dal Comitato tecnico scientifico. Mi par di capire che si cerchi di conciliare le necessità economiche del calcio professionistico con le esigenze di salute e di tutela di tutti – ha detto a Tuttosport -. C’è da dire che le squadre sono entità, sono comunità chiuse. Per cui se si vuole compiere questo sforzo, si potrebbe mantenere questa comunità chiusa per un periodo di tempo. Il tempo di far disputare le partite. Questo porterebbe un grande vantaggio perché se la comunità è chiusa e si può sottoporre tutti a uno screening e non c’è alcun tipo di contaminazione con l’esterno, quella comunità chiusa sarà tutelata“.
“Nonostante la mia grande passione di tifoso, il calcio è ovviamente passato in secondo piano nei miei pensieri. Però se un giorno si potrà davvero ripartire con il campionato forse anche questo rappresenterebbe un forte rientro verso la normalità – ha aggiunto -. La vita di tanti non appassionati di calcio è scandita dalle vicende calcistiche. Se la A ripartisse, sarebbe un segnale importante, benaugurante anche dal punto di vista psicologico per tutto il Paese. Il rischio zero non esiste, ma esistono comportamenti e protocolli che possono abbattere notevolmente il rischio di infezione e di contagio“.
