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Liverani, un anno dopo stessi numeri

Dopo otto giornate, il suo Lecce l’anno scorso occupava la stessa posizione del Parma attuale

Aveva chiesto alla vigilia di capire a che punto fosse il Parma. Ci ha messo poco, Fabio Liverani, per scoprire che di lavoro da fare ce n’è molto. “Probabilmente in queste due settimane non sono riuscito a trasmettere e capire il tipo di partita e questo è un problema totalmente mio – dirà a fine gara –“. Al contrario dei suoi ragazzi, il tecnico del Parma ci è andato giù pesante, riconoscendo le sue responsabilità senza nascondere le difficoltà del momento dovute a una mancata amalgama, a un atteggiamento tattico difficilmente interpretabile da parte dei suoi giocatori, a una serie di circostanze che richiedono tempo, affinché diventino favorevoli. Ma il tempo, per gli allenatori, è sempre meno e soprattutto loro si sentono continuamente rincorsi dai momenti, che si accorciano e si allungano a seconda delle tante situazioni (favorevoli o sfavorevoli) che vivono nell’arco di un campionato. E spesso vivono la situazione del topo rincorso dal gatto. Quando le cose non vanno bene, sembra sempre poco il tempo a disposizione per aggiustarle. Ancora meno è quello necessario a trovare la soluzione al problema, da risolvere al più presto per correggere in corsa, dando una sterzata.

Malgrado Liverani sappia di averne poco, anche dopo la partita con la Roma ha chiesto tempo. Tempo per cambiare abitudini. A Liverani, in fondo, è stato chiesto di innovare il metodo, di proporre idee diverse che per ora non stanno emergendo e sono soffocate dall’incertezza e dalla mancata identità. Non è questo il suo calcio, almeno non nella proposta offensiva. Contro la Roma sono stati zero, fino a oltre un’ora di gioco, i tiri effettuati dal Parma verso Mirante. A fine gara sarà magro il bottino: uno, contro i quindici totali dei giallorossi. Sepe ha compiuto quattro parate decisive, i suoi compagni hanno concesso undici occasioni da gol. L’impietoso score però preoccupa anche quando l’obiettivo si sposta sull’anno passato. Dopo le prime otto giornate della scorsa stagione, Fabio Liverani aveva un punto in più (alla guida del Lecce il tecnico romano aveva collezionato sette punti) rispetto a quest’anno, ma il posto in classifica era pressoché identico: diciassettesimo l’anno scorso, diciassettesimo quest’anno. I gol subiti, al netto della sua vocazione offensiva che almeno a Lecce è rimasta come etichetta, erano diciassette l’anno scorso, sedici quest’anno, sempre dopo otto giornate.

Alla guida dei salentini, Liverani era riuscito a vedere i suoi segnare nove gol, quest’anno uno in meno: otto. Insomma, un equilibrio instabile, tradotto in numeri tutt’altro che rassicuranti, che dalla loro parte hanno alibi e pretese di analisi, ma mostrano il progetto in tutta la sua nudità. La scarsa effervescenza nella fase offensiva, la trasformazione tattica (è la terza partita in cui il Parma presenta un abbottonato – si fa per dire – 5-3-2) che sconfessa le sue idee apparentemente motivata dal dare certezze alla squadra, denunciano le difficoltà da parte dei giocatori (abituati a giocare in un certo modo) a masticare un nuovo pensiero.

E Roma, campo storicamente inaccessibile per il Parma, è solo l’acme della parabola: di fronte a una squadra priva di sei titolari, rodata e con gente che sapeva cosa fare, i crociati di Liverani hanno mostrato una strenua resistenza.

Rivelandosi nell’inconsistenza di una forma che forma non ha, attorcigliata in un groviglio di idee confuse, a metà tra l’innovazione e la vecchia corrente di pensiero.

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