L’attaccante della Samp, il secondo caso in serie A dopo Rugani, invita alla prudenza. “Niente sintomi, senza tampone avrei rischiato di contagiare altri”
L’attaccante della Sampdoria, Manolo Gabbiadini, è stato il secondo caso positivo in serie A dopo Rugani e racconta a La Gazzetta dello Sport la sua esperienza legata al coronavirus. “Ho sentito un po’ di febbre la sera di martedì 10, ma non ho pensato al virus. Quella notte ho dormito male, mi sono svegliato presto e al mattino mi girava la testa ma non ero caldo. Ho misurato la febbre solo per scrupolo e avevo 37,5. Ho chiamato il dottor Baldari della Samp, ma anche in questo caso non ho pensato al virus. Martina, mia moglie, mi ha però suggerito di chiedere il tampone: a casa abbiamo due bimbi piccoli. Il dottore è venuto a farlo e ci siamo dati appuntamento al giorno dopo. Giovedì stavo benissimo, era passata la febbre. Alle 15 mi ha chiamato il dottore per dirmi che ero positivo“.
PRUDENZA. “Se solo avessi aspettato il giorno dopo non avrei più chiesto di fare il tampone visto che mi sentivo molto bene col rischio di uscire e contagiare altre persone. Da lì ho capito che ci sono tanti positivi che nemmeno lo sanno e allora la battaglia si vince in un modo: rispettando le direttive e restando a casa. Non ho competenze politiche o sanitarie però probabilmente chiudere tutto per quindici giorni sarebbe stato giusto“.
QUARANTENA. “Devo fare obbligatoriamente 14 giorni di quarantena e poi, prima di uscire, dovrò seguire le indicazioni ed eventuali controlli in base a quello che mi dice il dottore“.
SURREALE. “Eravamo in hotel quando abbiamo visto che Parma–Spal non iniziava e abbiamo ipotizzato che non avremmo giocato. Poi siamo andati allo stadio e già è stato brutto il riscaldamento nel silenzio. Abbiamo cercato la concentrazione pensando all’importanza della partita, per fortuna abbiamo vinto ma è stato davvero bruttissimo“.
