L’ex direttore sportivo che li ha uniti prima a Bari, poi a Siena: “Due persone diverse ma simili, in sostanza: entrambi vogliono la vittoria”
Non c’è bisogno che si studino a distanza. I due si conoscono bene. E se pure sono diversi l’uno dall’altro, ‘agli antipodi come persone – dice Giorgio Perinetti –’ sanno di essere quanto mai simili nel cercare con costanza e fame la vittoria. L’obiettivo di uno e dell’altro, chiaramente con le dovute mire e aspettative. Nelle rispettive posizioni. Sospesi tra panchina e tribuna. Da una parte Daniele Faggiano, dall’altra Antonio Conte, gente di calcio, vincente a ogni modo. Legati. Da un filo tessuto sotto la regia di un esperto del pallone. Quel Perinetti che ha conosciuto Conte e Faggiano da ragazzi e li ha aiutati a crescere, unendoli nel segno della vittoria: prima a Bari, poi a Siena.
Direttore, è la prima volta che i ‘suoi ragazzi’ si scontrano.
“Beh, doveva pure arrivare questo momento. Significa che sono cresciuti, dai”.
Faggiano è cresciuto: è diventato un vincente.
“Con Daniele ho condiviso molti momento, anche nella vita privata. Che non sto qui a raccontarle. L’ho preso da Noicattaro, l’ho conosciuto durante la trattativa Caputo. Lui era il ds e l’anno dopo gli proposi di lavorare con me a Bari. Conte invece l’ho avuto alla Juventus: in un centrocampo con Zidane, Davids, Deschamps, indovini chi era il capitano?”.
Conte.
“Esatto. Questo per dire che la sua carriera di allenatore non mi ha stupito”.
Cos’hanno in comune Conte e Faggiano?
“All’apparenza niente: Antonio è uno che fa fatica ad aprirsi. Dà rarissime concessioni all’aspetto personale, molto difficile entrare in confidenza con lui. E’ un tipo introverso. Daniele è tutto il contrario: molto estroversa, lega con tutti rapidamente. Ma il fatto che entrambi siano di Lecce è un punto di contatto importante”.
Anche all’epoca Conte era un tipo così preciso?
“Certo. L’ho portato a Bari proprio per questo. Credo che il suo successo sia dovuto all’applicazione maniacale delle sue idee. Non ha figli e figliastri, dice le cose in faccia, è uno diretto e se meriti di giocare giochi, se no stai fuori. Ha una particolare dote nell’essere condottiero, manager e capo. Ci sono i momenti in cui si ricorda che è stato calciatore, che possono essere inserite in un normale contesto di rapporto tra tecnico e giocatore, ma lui vuole e dà rispetto. A tutti: oltre a pretendere il massimo sul campo, vuole rispetto fuori. E’ la sua ricetta per la vittoria”.
E voi avete vinto insieme.
“Sì: io, Daniele e Antonio abbiamo vissuto molti momenti bellissimi insieme. Ci sono stati episodi in cui abbiamo vinto, altri in cui abbiamo perso. Molti momenti più leggeri, come una bella pizza o una cena. Sono felice di aver contribuito alla loro crescita. Ora sono diventati grandi, possono camminare da soli”.