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Apolloni: “Veron correva per tre”

L’ex difensore e allenatore del Parma elogia l’argentino: “Dimostrò senso di appartenenza, teneva molto alla squadra”

Due stagioni sotto la guida di Carlo Ancelotti, un secondo posto, miglior piazzamento in Serie A del Parma, l’esordio in Champions League e il rammarico per non essere riusciti a conquistare quel benedetto scudetto. 1998-1999, si cambia, sulla panchina dei ducali arriva Alberto Malesani, dal mercato arrivano Boghossian, Fuser e soprattutto Juan Sebastian Veron che rivoluzionano la mediana e puntellano la rosa dell’ex tecnico della Fiorentina.

La Brujita argentina resterà in Emilia un solo anno, quanto basta per dar sfoggio delle proprie qualità e contribuire alla conquista della Coppa Italia e della Coppa Uefa. In esclusiva ai microfoni del Golden Foot Luigi Apolloni, recordman di presenze nelle competizioni ufficiali col Parma, ha ripercorso le tappe principali di quella gloriosa stagione, omaggiando l’intelligenza tecnica e le doti tecniche di Veron, insignito del Golden Foot Legend Award.

1998-1999, la prima ed unica stagione di Juan Sebastian Veron con la maglia del Parma si rivela un’annata intensa, trionfale.

“Nonostante in quella stagione lì mi feci male al ginocchio durante la preparazione, Sebastian l’ho vissuto intensamente perché chiaramente le partite le andavo a vedere, ero con loro nello spogliatoio. Mi ha sempre colpito la sua capacità di semplificare le giocate difficili, ti faceva divertire. Correva per tre, per la squadra, anche se in allenamento non amava molto essere vincolato alle questioni tattiche. Riusciva a cambiar gioco con lanci di quaranta, cinquanta, settanta metri e te la metteva sul piede. Sapeva già le cose prima di farle, aveva un’intelligenza tecnica abbinata a doti tattiche”.

Malesani, Veron, Boghossian, Fuser, il mercato rivoluziona la mediana. Che aria si respirava nello spogliatoio, avevate la consapevolezza di avere qualcosa in più, in Italia e in Europa, rispetto ai vostri avversari?

“Quello lo vedevi durante gli allenamenti intensi di Malesani. Il mister è stato un buon allenatore che ha avuto anche la fortuna di aver dei giocatori intelligenti come Veron, Boghossian, una difesa mondiale, Buffon in porta, Cannavaro e Thuram erano i difensori centrali, Sensini. Capisci che era una squadra stratosferica. Il rammarico è non essere riuscito a vincere il campionato con una squadra così perché in difesa aveva quei giocatori lì, sulle fasce Vanoli e Benarrivo, c’era anche Mussi. A centrocampo Dino Baggio, Veron, Boghossian, Fuser, davanti aveva Crespo, Chiesa, c’era Stanic. Aveva una signora squadra proiettata al poter far veramente divertire la gente e poter ambire a questo benedetto scudetto che purtroppo Parma non è riuscita a vincere”.

Crespo, Veron, Sensini: quanto ha contribuito a rendere grande quel Parma lo zoccolo argentino?

“Sicuramente sono stati dei giocatori fondamentali. Crespo è stato ed è tutt’ora il giocatore più amato a Parma. Veron arrivava dalla Sampdoria, ha fatto soltanto un anno, ma tutti si ricordano delle sue qualità che ha amplificato e adattato a quel Parma. Stesso discorso per Sensini, Nestor è stato uno dei giocatori più duttili, più utili al Parma di Scala e poi al Parma di Malesani e di Ancelotti. Un calciatore che poteva ricoprire più ruoli, la sua personalità e le sue conoscenze sono state importanti anche per l’inserimento di altri giocatori”.

Decisivo col suo estro in mezzo al campo ma anche in area avversaria, soprattutto in Coppa Italia, dal punto di vista umano che giocatore è stato il Veron del Parma?

“All’interno dello spogliatoio era un giocatore pacato, riflessivo però quando diceva qualcosa lo faceva con senso di appartenenza. E’ stato un esempio, anche se negli allenamenti spesso si scontrava con Malesani perché a Sebastian piaceva far cose intense attraverso partitine, mentre Malesani tante volte curava l’aspetto tattico che invece Veron non godeva molto. Ti dico solo che a volte Veron lanciava male il pallone, non dico per dispetto, ma per far capire che lui prediligeva le partitine. Alla fine però Malesani si è messo il cuore in pace e ha capito che l’unica maniera per poter far girare la squadra era trovare un compromesso, curare la parte tattica sì, ma fare anche le partitine. Addirittura alle volte giocava anche lui (Malesani ndr), si era inserito nel gruppo per far capire che ascoltava ma anche che gli altri dovevano ascoltarlo”.

Fatta eccezione per i successi in Coppa Italia ed in Coppa Uefa, c’è un aneddoto, un ricordo speciale che ti lega particolarmente a Veron e a quel Parma?

“Ripeto, a causa di quell’infortunio rientrai a fine stagione e giocai solamente due partite, contro l’Inter gli ultimi venti minuti e l’ultima mezz’ora contro la Lazio a Roma, dopo aver vinto la Coppa Italia e la Coppa Uefa. Sebastian era uno che amava stare con la squadra, ricordo che invitò me, Asprilla, Crespo, Sensini a casa sua per una grigliata. Era uno che attraverso il proprio valore, le proprie qualità di calciatore, di ragazzo bravo, semplice, dimostrava senso di appartenenza e che teneva molto alla squadra. Io non ho mai visto uno che correva come lui, in partita correva e rincorreva tutti. Qualche anno fa, quando allenavo il Parma in Serie B, mi venne a trovare nel centro sportivo di Collecchio e insieme ricordammo un po’ quelle annate lì. Mi fece molto piacere”.

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