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Sepe e Iacoponi, gli ultimi eroi a cadere

Il portiere, preso di mira con offese social, e il difensore, sono l’ultima immagine di una stagione che non decolla

L’istantanea è impietosa. Lo sguardo perso nel vuoto di Iacoponi, e le gambe divaricate di Sepe sono appesantite dall’area che sa di piombo. Quasi come se uno sparo avesse svegliato il Parma sul più bello del sogno. In realtà il sogno è un incubo che sembra non avere fine, in un anno tortuoso, percosso da scariche pazzesche di adrenalina, frustate di negatività che al Franchi erano state attenuate dal risultato amico di Crotone. Mentre i ragazzi di Cosmi riaprivano il discorso salvezza, battendo in casa il Torino, il Parma si faceva gol da solo. E’ il caso di dirlo. Non tanto per l’episodio sfortunato dell’autorete di Iacoponi, quello è solo l’estrema conseguenza di un declino insopportabile, cominciato da lontano. Il vantaggio costruito nel tempo di recupero e dilapidato in 180 secondi è lo scatto ferale di un anno da dimenticare, che non sarà ancora giunto al termine ma si avvia verso un’amara conclusione.

E le facce pietrificate di Iacoponi e Sepe sono solamente due degli elementi di una storia montata male. Nella storia del calcio, il portiere è da sempre un uomo solo. Travolto dai palloni degli avversari, dai numeri (negativi), esaltato dai suoi stessi riflessi. Osannato quando para un rigore, criticato quando non riesce ad essere decisivo. Solo sempre però. Tanto che anche la più alta letteratura vede qualche illustre pensatore che si scomoda per esaltarne il coraggio. Prendiamo Sepe, ad esempio. Gigi in questo momento non è solo, è contornato dall’odio virale vomitatogli addosso dai tifosi, che lo hanno eletto un po’ a bersaglio del momentaccio. Il malessere, eufemismo, sfocia tra Facebook e Instagram, con commenti censurabili che mettono in discussione la professionalità, oltre che a dileggiare l’uomo seppelliscono anche il calciatore oltremodo. In questo bailamme di sproloqui, si evince la frustrazione – legittima se si ferma alla parte sportiva – di chi sta raccogliendo meno rispetto a quanto si aspettava. Tutto giusto, del resto la probabile retrocessione del Parma è letta da queste parti come un’impresa, al contrario. Ma questo non giustifica le offese. Sì la ‘disamina’ tecnica, fatta in prima persona proprio da Sepe, lucido nell’ammissione di colpe dopo la partita e coraggioso, dote in seno al portiere. La centesima presenza con la maglia del Parma è stata macchiata da una partitaccia (come ha riconosciuto anche lui) che a un certo punto era stata rimessa in piedi.

Ma il destino sembra aver scritto un copione straziante. Anche per un altro dei pilastri del Parma: Simone Iacoponi avrebbe voluto smaterializzarsi, essere chissà dove in quell’istante. E invece si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lui, che due anni prima aveva portato con onore, nello stadio teatro di imprese come la semifinale con il Pordenone e la finale con l’Alessandria, la fascia da capitano. A testimonianza della scalata sociale che con forza e dedizione aveva eletto a simbolo proprio Simone. Il soldato di D’Aversa, la cui corazza è stata scalfita quest’anno da tanti infortuni, rischia di diventare il simbolo di una stagione nata male, che sta finendo peggio. Il tempo per scrivere un altro finale, magari raccontarlo ai nipotini come quando racconterà di aver marcato Dzeko e di aver ringhiato su Cristiano Ronaldo, c’è ma non si può più sbagliare. Bisogna fare i conti con la realtà, dodici partite da qui alla fine potrebbero non bastare per rimettere in carreggiata una squadra che fino a qui, giornata ventisei, ne ha buttate all’aria diverse. L’ultima a Firenze, da cui è andata via con la morte nel cuore.

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