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C’è anche Balogh al tavolo dei grandi: il Parma scopre un tesoro

Il rap, la Play Station e Fifa, con un sogno: quello di avvicinarsi a Sergio Ramos

A fine partita ha tirato un sospiro di sollievo, ha guardato il cielo e si è asciugato il sudore con la maglia. Quella dell’esordio in Serie A l’ha conservata, per un bel po’ sarà quella che Botond Balogh custodirà più gelosamente. Botond in ungherese è il corrispettivo italiano di guerriero. Come è stato ieri per larghi tratti della partita il difensore del Parma. Certo, come ogni guerriero nell’indossare l’armatura, avrà calcolato il rischio, avrà tremato quando davanti si è visto lo scheletro di San Siro, imponente nella sua grandezza, vuoto ma pur sempre pieno di fascino. Ci ha pensato, Balogh, che ha scoperto di dover giocare poche ore prima della partita, quando Osorio è risultato positivo al coronavirus. Liverani ha scelto lui, tre giorni prima ne aveva parlato benissimo pubblicamente. E sabato lo ha schierato titolare senza pensarci. Durante il riscaldamento ha lavorato su sé stesso, per rimanere concentrato. La carica di Marcello Carli, che ha stretto i punti e glieli ha sbattuti sul petto prima che rientrasse nel tunnel e i consigli di Alessandro Lucarelli – che lo ha preso sotto la sua ala protettiva – raccomandandolo di stare calmo, di giocare con la testa e di fare le cose semplici, hanno aiutato.

Chissà se a 13 anni, nella sua Sopron – città sospesa tra Vienna e Budapest – Balogh ci pensava. Erano i tempi in cui avrebbe lasciato la sua città, i suoi amici, il suo liceo, la sua famiglia. L’avrebbe rivista una, massimo due volte al mese. Budapest era un porto sicuro, ma troppo grande per un ragazzo della sua età, lontano dagli affetti e dal sostegno di cui si era sempre nutrito. Giocava d’attaccante, era il più alto di tutti, fisicamente dominante rispetto ai suoi coetanei, Botond si imponeva facendo tanti gol. Gli stessi che qualche anno più tardi avrebbe dovuto evitare. E intanto cresceva nel mito di Sergio Ramos, suo idolo da quando gli hanno fatto intendere che la sua carriera sarebbe continuata in difesa. Il padre, un modesto calciatore ungherese di terza divisione, ci ha sempre sperato. La madre, che lavora in un salone di bellezza e fa la parrucchiera, lo forzava per andare a scuola. Rispettosa, riservata come Botond. Una bella famiglia, che ha sorretto il figlio, alimentando la fiammella e convincendolo a  credere nei suoi sogni. Sogni realizzati in una settimana. Tra mercoledì e sabato, Balogh ha esordito con la maglia del Parma, prima in Coppa Italia, poi con l’Inter a San Siro. Non male, per un ragazzo del 2002, maggiorenne senza ancora la patente che vive al centro sportivo di Collecchio, che assorbe tutta la parmigianità e la divide con Mark Kosnowsky, compagno di stanza e di Nazionale. Parlano, si raccontano e trascorrono ore a guardare serie tv su Netflix, intervallate da ore a Fifa, su Play Station, che lo ha introdotto – seppure con la simulazione – nel mondo del calcio che conta.

Aveva già avuto modo di assaggiare il contesto della Serie A con le convocazioni dello scorso anno, a fine stagione D’Aversa lo ha coinvolto. Un bel salto, Balogh è stato bravo nell’assimilare il balzo di categoria, facendosi trovare pronto e rispondendo in maniera convinta alla chiamata di Liverani. Il responsabile del settore giovanile Luca Piazzi ne ha seguito i primi passi: l’ha notato nel torneo internazionale di Pinatar, in Spagna. Spiccava per la sua fisicità e la personalità, quella che poi ha mostrato a Dublino, durante l’Europeo Under 17 e sabato a San Siro. Qualche macchia, lavata però con una prestazione complessiva che tutto sommato è stata positiva. Finita la partita, Botond è stato coccolato dai suoi compagni, protetto dalla società che gli si è stretta attorno perché è finito in mezzo alla ressa mediatica, per aver travolto Ivan Perisic in area di rigore. Errori di gioventù, che si perdonano. A un ragazzo di 18 anni devi dare la possibilità di sbagliare.

Il suo sogno era giocare a San Siro, ci è arrivato debuttando in Serie A: segno di un lavoro duro, riconosciuto. Lavoro che ha portato i frutti. Da quando è arrivato è dimagrito di 9 chili, si è applicato e dal punto di vista tecnico-tattico lo sviluppo è stato esponenziale. Un diamante grezzo, che Liverani farà bene a trattare con cura. Maneggiandolo con responsabilità. Sabato al ritorno si è chiuso nelle sue cuffie sparandosi nelle orecchie la sua musica preferita, il rap che lo aiuta a scaricare la tensione. E il viaggio di ritorno è filato via liscio, mentre in testa gli scorreva il film della partita. La sua. Vuole rimettere i piedi per terra subito. Perché i sogni alle volte rischiano di infrangersi. Ma al tavolo dei grandi, per adesso, c’è un altro ospite. Si chiama Balogh.

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