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Pecchia, qual è il vero Parma?

Cambi di formazione, più ruoli interpretati all’interno della stessa partita. E non c’è un’identità precisa

Sono 30 le partite in stagione, 4 i moduli utilizzati, ben 24 formazione cambiate. In un campionato costellato dagli imprevisti (vedi nella prima parte infortuni e squalifiche) e da difetti di fabbrica (carenza di esterni di ruolo), il Parma di Pecchia non è quasi mai lo stesso e cambia di partita in partita: negli undici e spesso anche nel ruolo in cui i calciatori vengono chiamati a recitare la parte. È un dato senza dubbio sorprendente, che certifica i noti problemi del Parma, riflessi in un andamento altalenante e in una classifica che – a otto gare dal termine – lo vede fuori dai playoff. L’allenatore con le sue scelte ha cercato di trovare delle soluzioni che hanno pagato solo in parte senza risolvere in maniera definitiva i problemi. I risultati non entusiasmanti della squadra portano a pensare che alla fine questa mutevolezza, dettata anche dalle contingenze del momento, non abbia pagato. È impossibile declinare la formazione tipo dei crociati di questo 2022-23. E va bene cambiare in nome della duttilità dei tuoi elementi, ma tra questo e la sensazione classica di smarrimento il confine è molto sottile.

Nelle prime cinque giornate, Pecchia aveva trovato l’assetto giusto per il suo attacco: una punta centrale (Inglese) accompagnata da Vazquez più due esterni rapidi e forti nell’uno contro uno (almeno sulla carta) come Man e Mihaila. Ma il piano di decollo non ha funzionato: una vittoria, tre pareggi e una sconfitta. L’infortunio di Romagnoli, perno della difesa con il quale accompagnare la crescita dei ragazzi più giovani, non ha aiutato l’allenatore, anzi: l’ha portato a stravolgere anche l’assetto arretrato. Ma nelle partite contro Ascoli e Frosinone, quando ci si è illusi che potesse cominciare un campionato diverso per il Parma, Pecchia aveva fatto sei punti pur cambiando – tra una gara e l’altra – gli interpreti. Spesso le variazioni sono dettate dalla necessità, vedi ad esempio la difesa che ha perso Romagnoli e Oosterwolde a gennaio prima di trovare nei vari Circati, Balogh e Zagaritis i sostituti. Le rare indisponibilità di Delprato hanno portato Coulibaly (con scarsi risultati) e Hainaut a rimpiazzarlo.   

Va detto che quello arretrato è stato il pacchetto che non ha mai subito variazioni per quanto riguarda la disposizione: cambiano il centrocampo e l’attacco ma mai la difesa che con Pecchia è stata sempre a quattro. In mezzo i cambi più significativi, segno che l’allenatore non ha ancora trovato un giusto equilibrio: garantito a tratti da Bernabé ed Estevez, ma senza continuità. Il calcio di Pecchia, che si è trovato a dover mettere in pratica il 4-3-3 o il 4-2-3-1 senza esterni di ruolo, adattando ora Benek, ora Bonny e persino Ansaldi, punta molto sulla duttilità degli interpreti. Chiedere a Benedyczak, nel caso, che in partita cambia fino a tre ruoli (punta centrale, esterno di destra e di sinistra). Un punto a favore del polacco, che si dimostra utile in più porzioni di campo, ma c’è anche il rovescio della medaglia: si è visto nelle partite bloccate – quando l’assenza di meccanismi di squadra oliati sembrava evidente – o negli errori di incomprensione. L’impressione è che l’amalgama sia un po’ mancata. Senza quella, il Parma si è rifugiato nei guizzi di Vazquez, lampi di classe assoluta che hanno risolto diverse partite. Sono mancati i gol delle punte (Inglese e Charpentier ne hanno segnati 4 in due). Resta il fatto che in trenta partite, Pecchia ha cambiato per l’80%. E questo un po’ fa perdere certezze, anche senza volerlo, in vista dei playoff.

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