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Benek, un’infanzia con il pallone e i consigli del padre soldato

Tra gli 8 e i 12 anni, si allenava a colpire in sequenza le lettere disegnate sul muro di casa

Chi nasce a Kamién Pomorski ha due modi per imporsi: lavorare e… lavorare. Mantenendo viva la tradizione del paese, in origine un villaggio fondato da pescatori sul mar Baltico. In effetti, la vocazione ‘oceanica‘ è visibile ancora oggi, nell’esempio delle case galleggianti, spesso mete dei turisti e forzieri di sogni, custoditi la dentro dai giovani del posto. Quelli di Adrian ‘Benek’ Benedyczak erano tenuti stretti dentro a un pallone. Lo aveva deciso il destino. Quando i suoi compagni di scuola partecipavano alle gite, lui restava solo sul campo da calcio del Gryf, squadra delle serie minori dove suo padre Ireneusz è stato portiere per una ventina d’anni: calciava palloni in porta. I professori trovavano davvero singolare il modo di comportarsi di questo ragazzo, che preferiva giocare a calcio invece che pensare a divertirsi con i compagni. In nome di quella mentalità imposta a Kamien: lavorare o lavorare. Adrian è figlio di un soldato dell’esercito: prima che portiere, suo padre ha servito la patria e – nel tempo libero – si è divertito in quarta serie. Il signor Ireneusz gli ha inculcato l’amore per il calcio, i valori della disciplina. E il rispetto per il lavoro. Lunedì, quando ha allargato le braccia per esultare, dopo lo splendido sinistro di contro balzo con il quale ha annulalto il Vicenza, ha voluto metaforicamente abbracciare anche lui, lontano 1.500 chilometri ma sempre presente nella sua giornata. 

Come qualche tempo fa. Tra gli 8 ei 12 anni Adrian ha giocato tutti i giorni nel campo della scuola, vicino a casa sua. Tanto che i suoi genitori ogni giorno andavano a fare la spesa, anche solo per comprare del pane. La scusa era quella di riempire casa, ma lo scopo dei Benedyczak era tenere a bada loro figlio. Passare dal campo per andare al negozio, vedere se Adrian stesse bene o se avesse bisogno di qualcosa. Evidentemente aveva bisogno solo di un pallone. Chi cresce in Polonia sognando di mantenersi con il calcio, ha in testa solo Lewandoski. Niente accostamenti, sarebbe blasfemo in questo periodo storico. L’idolo del ragazzone di 20 anni, biondo, silenzioso e tranquillo, è Edin Dzeko, perché sa che Lewa forse è inarrivabile in questo momento.  Per questo si è messo in testa di lavorare sodo. Da solo o con suo padre, primo a credere in lui, ‘minacciato’ dai suoi tiri. Anche sotto casa, nel giardino di famiglia. C’era e c’è un muro che delimitava il confine con le altre abitazioni. Adrian e suo padre ci hanno dipinto sopra delle lettere. Con il pallone dovevano colpirle in sequenza. Serviva per la precisione. Un gioco stimolante, finito a 13 anni. E’ tempo di provare a diventare qualcuno per il figlio del soldato, che non voleva essere solo il figlio del soldato… .

Al Pogoń Szczecin, club più grande della regione, ti tengono solo se lavori. Diciamo che Benek, in quanto a lavoro, non è stato mai secondo a nessuno di quelli della sua età. I primi mesi a Stettino sono stati duri per lui. Il calcio era tutta la sua vita, lo era da bambino, lo è da ragazzo. Tanto da giocare un torneo da … infortunato. A 13 anni si era fatto male a un ginocchio. L’infortunio aveva indebolito il suo punto di forza: il tiro (per chi non se ne fosse accorto, riguardare il gol al Vicenza). Non voleva perdere l’occasione di mettersi in mostra, dopo una prima parte di torneo importante. Il premio era il Pogoń. Di solito quando si è giovani, davanti alle prime difficoltà, si fa fatica a reagire. Benek scelse l’altra soluzione: quella dettatta dalla mentalità (a proposito di lavorare o lavorare) e andò a giocare in porta, come suo padre che ha collezionato più di 600 partite tra i pali. L’allenatore decise che Benek andava tenuto, per via della sua intraprendenza e forza d’animo. Ma nel collegio di Stettino è durato una settimana. Non solo a causa dell’infortunio, gli mancava la famiglia. Eppure si svegliava all’alba con tutti, ma in campo poteva solo stare in disparte e guardare. Tornò a Kamień Pomorski per un po’, prima di scegliere definitivamente la strada da intraprendere. Voleva fare il calciatore. E alla fine pare ci sia riuscito. Questa volta, è ancora presto per dirlo, gli algoritmi di KK hanno funzionato bene. Il buon lavoro fatto dallo scouting del Parma, che ha sborsato quasi due milioni di euro per un giovane talento, sta dando i suoi frutti. 212′ e tre gol, due decisivi contro Cittadella e Vicenza. Un gol ogni 70′ giocati, medie già migliori degli anni scorsi (l’ultima stagione in Polonia conta di 3 gol in 25 partite, uno ogni otto gare). Tanto lavoro sporco.

E’ ancora presto per dirlo con certezza, ma Benek si è presentato con una grande determinazioni e con qualità importanti. Attacca la profondità, è rapido, calcia in porta e lavora di sponda. Domenica è atteso dalla prova del fuoco di Lecce, lui dopo il gol è più consapevole della sua forza. Le parole di Maresca “con lui ho sbagliato, meritava di giocare di più” sono una medaglia. I tre punti d’oro (protetti da Buffon) sono soprattutto suoi. Così come la scena. Il momento è magico, l’obiettivo è quello di farlo durare più a lungo possibile. Prima di tornare in Polonia, con l’Under21, (a proposito: lo guarda anche Paulo Sousa) Benek ha un appuntamento: quello con un’altra partita fondamentale per il cammino del Parma. Dal quale dipende anche il suo.

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