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Il dribbling, l’Argentina, Riquelme e il Boca: alla scoperta di Brunetta

Viaggio nelle origini di un potenziale campione, frenato dalle… luci della ribalta

Quando Juan Brunetta è stato inserito nella lista preliminare della Nazionale, per i giochi olimpici di Rio, ha pensato bene di comunicarlo con orgoglio alla madre. La signora Christie, che si è sempre presa cura della casa, non ci credeva. In famiglia, dove ha sempre vissuto con i genitori e il fratello minore Pedro, figlio anche lui del calcio di strada, gli avevano regalato un pianoforte, a dieci anni. Erano stati colpiti dalla delicatezza con cui scriveva al computer, i tasti sembravano appunto il bianco e il nero del pianoforte.

Erano gli anni in cui il pallone rimaneva l’hobby di Juan, che nel frattempo capiva piano piano di trasformarlo in professione. A Cordoba, in Argentina, hai poco altro oltre il calcio. A Laboulaye, paese di circa 20.000 abitanti, ancora meno e se non ti aggrappi al fanatismo degli idoli pagani del pallone  fai fatica a uscire dalla strada, anche se hai una buona famiglia. Quella di Brunetta è ottima. Suo padre Ariel (è stato il suo primo allenatore allo Sportivo Norte, squadra della città), buon calciatore di Huracàn e Sporting, adesso fa il guardiano dei campi da calcio sintetici, gli ha trasmesso la passione che pervade il 90% degli argentini. Sua madre lo ha sempre accompagnato agli allenamenti, dal giovedì alla domenica, per aiutarlo a coltivare il suo sogno: quello di indossare la maglia blu e gialla del Boca Juniors, il suo primo club professionistico (è stato lì per tre anni, facendo la trafila delle giovanili). A Buenos Aires la vita lontana dalla famiglia e dagli amici con cui aveva costruito un gruppo unitissimo cominciava a pesare. E’ stata dura per un ragazzo giovane come Juan sopravvivere lontano chilometri dagli affetti. Ma è lì che si è messo in testa il pallone, anche se gli avevano detto che sarebbe stata una battaglia affermarsi nel mondo del calcio.

Era troppo basso, aveva una corporatura esile, ma anche una buona tecnica. Quella che mise in mostra nell’Arsenal Futbol Club. L’esclusione dagli Xeneize è stata dura da digerire, soprattutto per chi porta nel cuore il giallo e il blu (colori che ha ritrovato a Parma) e che ha come idolo un giocatore che ha segnato gli anni in cui lui cresceva. A Juan è sempre piaciuto il calcio, si è sempre identificato in un numero (il dieci) e in un personaggio: Juan Roman Riquelme, che da quelle parti vale poco meno di un certo Maradona. El mudo lo ha stregato davvero.

Con lui ha in comune quel Ramon Maddoni che ha scoperto, oltre a Riquelme, gente come Tevez e Gago. Parlava di Brunetta come uno che spacca. L’ha fatto vedere al Godoy Cruz, dopo aver indossato le maglie di Estudiantes e Belgrano de Cordoba. E’ stato l’acquisto più caro del Godoy, 4 milioni di dollari per il 50% del suo cartellino. Il Parma ha pagato un milione di euro, per il prestito, ai quali vanno aggiunti sei milioni per l’obbligo di riscatto. Juan è ancora indietro, nell’apprendimento delle nozioni tecnico-tattiche. Il calcio argentino è sanguigno, ma più libero tatticamente, tanto che lui non ha ancora trovato una collocazione stabile. Può giocare da mezzala, da trequartista (la sua vocazione) e da seconda punta. Toccherà a Liverani decidere la posizione e ritagliargli uno spazio importante.

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