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Gravina: “Tifosi allo stadio? Stiamo discutendo di una parziale riapertura”

Parla il numero uno del calcio azzurro

Intervistato sulle colonne de “Il Corriere della Sera”, Gravina fa il punto sulla situazione in cui versa il calcio italiano e non solo.

Presidente Gravina quale è stata la molla che l’ha spinta a ricandidarsi?
“Il lavoro fatto sino adesso, che non è finito. Sono un perfezionista e voglio chiudere il cerchio. Però, credetemi, è stata una decisione sofferta”.

Si spieghi meglio.
“Intendo il ruolo in maniera totalizzante e per fare il presidente della Federazione devo rinunciare a molti lati della mia vita privata, affettiva e lavorativa. È stato così sino adesso e lo sarebbe anche se fossi rieletto. La mia dedizione alla causa è totale”.

Si sta chiudendo un anno drammatico per il calcio in cui lei è sempre stato in prima linea. Ma in mezzo a tante difficoltà c’è stata una parentesi divertente?
“Quando riceviamo un riscontro nella progettualità o nei momenti in cui tocco con mano l’entusiasmo ritrovato della gente per la maglia azzurra. La Nazionale, dopo un periodo buio, è di nuovo motivo di orgoglio. E poi mi elettrizza la sfida per il futuro, il 2-0 palla al centro”.

Il ministro Spadafora, congedandosi, ha detto che non conosceva lo sport. Cosa ha pensato?
“Non sono rimasto sorpreso. Il nostro è un mondo molto complesso. Le sfumature spesso sono decisive. E se non lo conosci sino in fondo diventa dura…”.

È giusto legare il destino di un presidente federale ai risultati del campo come è stato per Abete e Tavecchio?
“Per me no. Nel 2006 abbiamo vinto il Mondiale e l’unica preoccupazione è stata dove mettere la quarta stella sulla maglia. La vittoria è il risultato di un giorno. Un presidente deve capire come si fa a vincere”.

Mondiali. Nel 2010 e 2014 siamo usciti al primo turno e nel 2018 non ci siamo neppure qualificati. Soffriamo un complesso?
“Intanto speriamo che Mancini ci porti in Qatar. La verità è che tutto è più complesso rispetto all’Europeo. Però, grazie al lavoro del c.t., siamo entrati tra le prime dieci Nazioni del mondo e abbiamo un girone abbordabile. Roberto sta lavorando bene”.

Ma dopo il 2022 vorrebbe tornare sulla panchina di un club.
“Il rapporto con Mancini è ottimo e la condivisione del percorso totale. Ha un contratto solido sino al Qatar e la strada è lunga: c’è un Europeo da giocare, ma anche le finali di Nations e le qualificazioni al Mondiale. Sotto certi aspetti (economici ndr) non siamo in grado di competere con i club. Però abbiamo un valore aggiunto: la maglia azzurra che fa battere il cuore”.

Al centro del suo programma c’è la riforma dei campionati su cui è andato a sbattere anche il suo predecessore Tavecchio.
“Non dobbiamo affrontarla solo in termini quantitativi, cioè quante squadre si tagliano e in quale Lega. Serve un intervento strutturale. Il tema non è la A a 20 o 18. Il principio vincolante deve essere la sostenibilità. Bisogna ridisegnare i principi della mutualità, studiare la flessibilità degli emolumenti e trovare nuove risorse. Il semi-professionismo può aiutarci a risolvere il problema. E bisogna raffreddare il sistema delle retrocessioni: tre squadre su quattro che scendono in Lega Pro rischiano di sparire. È una rivoluzione necessaria”.

Per quanto tempo il calcio dovrà sopravvivere senza tifosi?
“C’è stato mercoledì un incontro con il Cts per parlare dell’Europeo a Roma (4 partite ndr). È stato un vertice positivo. Non ci sono preclusioni, neppure per i tifosi delle altre nazioni. Stiamo anche discutendo di una parziale riapertura in campionato. Speriamo che la pandemia non ci giochi un brutto scherzo proprio ora. Sono ottimista, aspettiamo solo l’insediamento del nuovo governo”.

L’Eca spinge per la Superlega.
“Per me non ha senso. Non risolve i problemi economici e ucciderebbe il valore delle competizioni nazionali. E io non lo posso permettere. Capisco i sogni dei club, ma Uefa e soprattutto Fifa sono stati chiari”.

Cosa ne pensa dei fondi che potrebbero entrare in Serie A?
“Permettetemi di dire che con il presidente Dal Pino c’è un ottimo dialogo. Quello dei fondi è un argomento complesso: si ispirano alla pura finanza, ma al centro deve esserci sempre la valorizzazione del prodotto. Però dopo un anno di approfondimenti sarebbe un peccato mandare tutto all’aria”.

Come si salva il calcio dalla crisi?
“Rispettando i principi dell’economia di mercato e aumentando i controlli. La sostenibilità deve essere il nostro mantra. Certi stipendi tra i calciatori non sono più possibili. Il salary cap penalizzerebbe troppo i nostri club che non sarebbero più competitivi nelle coppe. Io ho previsto una specie di luxury tax stile Nba”.

Si è parlato per lei di un futuro alla Lega di Serie A.
“Assolutamente no. Se sarò rieletto, il mio percorso finisce qui”.

La lite Ibra-Lukaku non è stata un bello spettacolo.
“Concordo, però non parlerei di punizioni esemplari. E chi è pronto a scagliare la prima pietra deve fare un esame di coscienza. In ogni caso le decisioni spettano alla Procura federale”.

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