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Donadoni sul coronavirus: “In Cina situazione quasi normale. In campo ad aprile”

L’ex tecnico del Parma: “L’Italia non deve copiare nessuno nella sua battaglia ma solo avere buon senso. Bisogna capire che oggi non si può rischiare”

Com’è lontana la Cina. E in questo caso non è solo un modo di dire. Mentre noi siamo nel pieno della battaglia contro il coronavirus (come detto dal premier Giuseppe Conte, questa sarà la settimana più difficile) la situazione nel paese orientale sta legamene tornando alla normalità, per se con qualche comprensibile difficoltà, come confermato dall’ex tecnico del Parma, Roberto Donadoni: “C’è grande attenzione nei confronti di coloro che vengono dai Paesi più colpiti e in fondo è giusto che sia così: hanno faticato tanto per cercare di risolvere il problema. Noi abbiamo trascorso un lungo periodo ad allenarci in Spagna, poi il 9 ci siamo trasferiti a Dubai. Saremmo dovuti rimanere lì fino al 22 ma abbiamo preferito anticipare i tempi, proprio perché sapevamo che ci avrebbero messi in quarantena e il campionato potrebbe cominciare“.

Quando siamo entrati in città con il pullman ho visto che la situazione è tornata alla normalità. Le strade sono vive, popolate di gente. Portano la mascherina, ma fa parte della loro cultura, la usavano anche prima che scoppiasse questa epidemia – ha detto a Il Corriere della Sera -. Diciamo che se prima la indossavano tanti, ora ce l’hanno proprio tutti. I controlli sono accurati per chiunque. È burocrazia, ma anche sicurezza. Mi viene da sorridere, però, quando sento dire che la Cina deve essere un modello per l’Italia. Noi non dobbiamo copiare chi sta combattendo la nostra stessa battaglia contro un avversario così infimo, ma limitarci ad avere buon senso. Bisogna capire che oggi non si può rischiare“.

Le buone notizie dalla Cina arriva anche sul fronte sportivo, col campionato che dovrebbe iniziare a breve: “Si parla di aprile. Noi ora dovremo stare fermi 14 giorni, bloccati nelle nostre camere di albergo, e non sarà facile soprattutto per i nostri giovani giocatori. Ma loro sono già contenti di essersi riavvicinati a casa, erano fuori da gennaio e avevano un po’ di ansia. Non potremo lavorare sul campo per due settimane, abbiamo preparato programmi individuali da svolgere in palestra con tutte le accortezze del caso: nessun contatto ravvicinato tra i ragazzi, orari diversi. È un sacrificio, certo, ma di fronte a ciò che stiamo vivendo tutto questo non conta“.

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