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Promozioni, derby e salvezza: D’Aversa è nella storia

Ricorre il terzo anniversario del tecnico crociato sulla panchina del Parma: dal Bassano al Milan, passando per tante tappe di un viaggio memorabile

Aveva il volto scavato dalla tensione, un po’ di capelli bianchi in meno e qualche pensiero in testa su quello che avrebbe dovuto dire di lì a poco. Una mano in tasca, con l’altra si è ‘affilato’ il volto, ha fatto il suo ingresso in sala stampa, nella pancia del Tardini gonfia di malumore. In gran segreto, Roberto D’Aversa tre anni fa stava per essere presentato come nuovo allenatore del Parma. Era passato prima dagli spogliatoi per stringere la mano ai suoi nuovi giocatori in uno spogliatoio pieno di delusione dopo l’esonero di Gigi Apolloni e l’interregno di Stefano Morrone, promosso al timone per un paio di partite mentre la società attrezzava il casting per il ruolo di primo attore sulla panchina crociata.

Se l’è aggiudicato a gran sorpresa D’Aversa, che il Parma lo aveva visto già ad Ancona. Caduto per mano di Marco Frediani che il tecnico si sarebbe ritrovato l’anno dopo in Serie B. Sguardo vispo, aspetto curioso, giacca grigia a scacchi con bottoni larghi e maglioncino nero, look casual. Entrò così in sala stampa, in punta di piedi, con gli occhi pieni di gioia per la prima avventura da allenatore lontano dal suo Abruzzo, una confort zone in cui torna appena può. Presentato  a sorpresa, preceduto da Marco Ferrari e accompagnato da una bella scia di scetticismo, il vice presidente del Parma lo introdusse con queste parole: “Il nuovo mister è Roberto D’Aversa. E’ stato scelto dal nuovo ds, perché non solo è una persona che insieme al suo staff è molto bravo sulla parte tattica, ma anche perché nei colloqui che ha fatto con noi ha dimostrato una spiccata personalità. Non ci servono nomi, ma gente che avesse la giusta fame, le giuste motivazioni. Abbiamo deciso di non volere gente che è stata in Serie A, ma gente che auspicabilmente con noi, tra qualche anno, lo ci possa arrivare”.

In quell’occasione Ferrari era stato un buon profeta, aveva in tasca il sì di Vagnati (Faggiano arriva dopo) e spingeva intanto il popolo crociato a credere nella redenzione per un anno che risultò poi essere fantastico dopo la ricostruzione e il taglio delle teste, celebre perché inusuale cambiare tutto il cabotaggio tecnico-tattico. Con una buona dose di sfiducia e un’eco di dubbi, il nuovo allenatore si presentava alla città fissando subito i paletti per la ripartenza: “Primo obiettivo: ragionare da squadra: così si costruiscono i successi”. Evidentemente fu quella la giornata delle profezie che si avverarono. Prima l’oracolo Ferrari, poi Bob, che in poco tempo ribaltò la squadra in nome di una filosofia totalizzante fondata su un culto del lavoro tipico di una vecchia scuola che crede ancora in un valore fondamentale che ti avvia al successo: la fatica. Tre anni, 1.095 giorni dopo, D’Aversa è passato dall’essere un semi-sconosciuto con l’ambizione di provare a vincere, a diventare il primo allenatore che nella storia del calcio ha traghettato (grazie all’anno di Apolloni in Serie D) la squadra dai bassi fondi del pallone fino in Serie A, passando per due campionati vinti, uno ai play off con dentro due derby dominati (che mancavano da venticinque anni); da una Serie B giocata da protagonista e vinta sul filo nella notte di Spezia grazie a un gol a tempo scaduto di un ragazzone che si chiama Floriano cinico quanto basta per  castigare un Frosinone distratto (che torna a Parma giovedì per la Coppa Italia) con la testa troppo presto in Serie A.

Al suo primo anno nella massima categoria una prima parte di campionato strepitosa, con una salvezza costruita alla prima tornata e con prestazioni super che hanno sbancato i campi di Inter, Torino, Fiorentina, Udinese. Dopo 126 panchine, 54 vittorie, 31 pareggi e 41 sconfitte, Bob è ancora al timone di un Parma che somiglia sempre più al suo tecnico: coriaceo, caratteriale, determinato e pronto alla lotta, come lo era D’Aversa da giocatore. La valorizzazione di alcuni giocatori (vedi Scozzarella e Barillà su tutti) che sono diventati soldati sotto la sua egida (Iacoponi è il simbolo), il raggiungimento degli obiettivi e il suo pragmatismo hanno aperto gli occhi di tutti. O quasi: perché non sono stati utili a conquistare Parma. E questo sembra essere un caso unico nel calcio: perché un allenatore che ha ereditato la squadra all’ottavo posto in Lega Pro e l’ha portata fino in Serie A in due anni e mezzo, che condivide il merito di aver scampato a tempeste pericolose (vedi Empoli nell’anno della Serie B) con la società e il direttore sportivo, bravi anche loro a sceglierlo e a proseguire sotto la sua guida salda, non è ancora nel cuore dei tifosi nonostante sia nelle prime pagine della gloriosa storia del Parma?

 

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