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Parma, riparti dal calcio

Altro obiettivo fallito. L’uscita dai playoff ha provocato amarezza e riportato nell’ambiente perplessità riguardo alla validità del progetto

Il grande cuore del Tardini questa volta non è bastato. Fa male perché il Parma aveva assaporato la vittoria dopo il gol di Bonny, portandosi per una manciata di secondi un passo dalla finale. La qualificazione è scivolata via, prendendo irrimediabilmente la strada di Cagliari. Decisivi gli episodi all’andata e al ritorno, quando neanche Orsato è riuscito a vedere che Sohm nell’area sarda era stato maltrattato da Dossena senza scene. Peccato. Alla fine dei 180′ il rimpianto del Parma è enorme. Prima l’illusione, poi la fatica, la sofferenza e le gambe stanche che hanno iniziato a rallentare quando serviva accelerare. La testa pesante dei crociati è caduta tra le mani di ciascuno di loro al triplice fischio: stretta da mille pensieri diventati lacrime. Da quelle di Franco Vazquez, inconsolabile, fino all’eterno Buffon, da Delprato a Bonny e Coulibaly. I volti di pietra segnati dall’amarezza di chi aveva dato tutto ma era andato a sbattere contro un muro. Quello eretto dalla realtà che ha scalzato, ancora una volta, i principi ambiziosi di una società che continuerà certamente a investire. Una botta che fa male, che neanche l’amore immenso dei tifosi del Parma forse riesce ad alleviare. Per lo meno non subito. Diciottomila cuori che battevano, trentaseimila mani che hanno applaudito dalle 18 alle 23 più o meno. Incessantemente. C’era tantissima gente al Tardini, confluita da ogni dove a sostenere il Parma, a spingerlo verso la finale. È finita con il frastuono dei cori serviti a coprire i singhiozzi, le mani tese in avanti in segno di ringraziamento per nascondere le labbra serrate e morse di rabbia. Una commozione, quella dei calciatori sotto la curva a fine partita, che si è fusa con l’abbraccio ideale della Curva Nord ai propri beniamini. Una processione triste ma sentita, invocata. Voluta da tutti per l’ultimo grazie. Parole di incitamento, cori e messaggi dai quali ripartire prima di tornare con la testa china verso il campo e imboccare il tunnel. Pecchia era già dentro lo spogliatoio. Ha salutato prima la sua gente, lasciando spazio ai calciatori: occhi lucidi anche per lui, che sa di aver costruito comunque qualcosa che resterà e dalla quale bisognerà ripartire.

Ripartire da lui, che a fine gara ha rimarcato di voler far parte del progetto, “sempre che il Presidente lo voglia. Io ho un contratto, sapevo benissimo quando ho scelto Parma che c’era un percorso da fare”, ha detto l’allenatore in conferenza stampa. E il percorso l’ha tracciato Kyle Krause: puntare sui giovani per costruire una squadra che abbia le ambizioni sufficienti a giocarsi la Serie A. Per il secondo anno consecutivo l’obiettivo è sfumato e non basta neanche essere arrivati in semifinale dei playoff per giudicare l’annata in maniera positiva. Si pensava che il finale esplosivo potesse servire a spingere questo manipolo di ragazzi verso un traguardo strepitoso. Risultato, alla prova del campo, troppo ambizioso per i muscoli teneri del Parma. Serve tempo per preparare i giovani alla vittoria. Ma il tempo spesso nemico dell’ambizione e della voglia di vincere. Alla fine l’idea di calcio del club si conferma essere all’altezza, ma forse troppo pretenziosa se paragonata ai mezzi che si scelgono per perseguirla e sostenerla. Per carità, il progetto è nobile, ma la nobiltà non è di per sé una garanzia di successo. Purtroppo nel calcio, governato da norme che lo confinano a un mondo a parte, valgono regole diverse. E le detta il pallone: se entra in porta vinci, se va fuori perdi. E Krause ha perso, anche l’anno prossimo ripartirà dalla Serie B con l’intento di tornare subito dove il Parma merita, dove meritano quei tifosi che hanno dato spettacolo sotto i suoi occhi. A patto che le scelte siano dettate dal calcio, non dal soccer.

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