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La resa del Parma: da salvare resta il +11 sulla terzultima

Con i 5 gol dell’Epifania, la Dea ha messo a segno dieci gol in due partite, 48 in 18: mai nessuno in 60 anni aveva fatto meglio

Si è vista la differenza. L’intenzione nostra era diversa però è inutile negare l’evidenza: ci sono stati superiori dal primo al novantesimo. E sul risultato siamo stati anche fortunati”. Roberto D’Aversa ci va giù pesante, non si nasconde, non può farlo. Ha ancora sul volto la mano aperta che Gasp gli ha stampato, una cinquina che non lascia spazio a nessun tipo di recriminazione: nel giardino di Bob gli alibi non fioriscono sia perché non sono mai stati piantati, sia perché – pur potendo crescere – nessuno li vorrebbe annaffiare. E’ nella filosofia del Parma, del suo allenatore e del suo direttore sportivo, della società.

Ma un 5-0, seppure contro una squadra che gioca un altro campionato, potrebbe avere delle ripercussioni psicologiche importanti per una squadra che si è riscoperta fragile quando è senza certezze. Però se da una parte ci sono i numeri, dall’altra c’è un club che in 18 partite ha collezionato 25 punti oltre che il settimo posto. Numeri anche questi, che vanno considerati anche più dei 5 gol che il Parma ha trovato nella calza della befana. Il Gewiss Stadium si è trasformato in un girone dell’inferno, quello che di colpo ha accolto D’Aversa e la sua banda, incapace di trovare opposizione alla furia della Dea, la stessa che si era abbattuta sul povero diavolo un paio di settimane fa.

La differenza tra le squadre, quella tradotta in punti, non rispettava la realtà e onestamente non legittimava la voragine di valori tecnici che è tangibile tra le sue rose. L’allungo di tre punti – dopo una prova senza appello che ha prodotto la conseguenza tradotta in resa incondizionata – ha cominciato a definire le distanze evidentemente destinate a lievitare da qui a fine campionato. Il concetto seminato al Gewiss Stadium è tradotto nei numeri disarmanti, anche il giorno dopo: 18 i tiri dell’Atalanta contro i 3 del Parma,  11 quelli in porta della Dea, uno quello dei crociati; 8 i tiri da dentro l’area di rigore di Sepe e compagni, 8 occasioni da gol, 513 i passaggi riusciti con una percentuale di precisione pari all’82%. Numeri che esaltano le qualità dell’Atalanta e che sotterrano le speranze di un Parma travolto come è stato travolto il Milan. Con i 5 gol dell’Epifania, la Dea ha messo a segno dieci gol in due partite, 48 in 18: mai nessuno in 60 anni aveva fatto meglio. Numeri pazzeschi che certificano la resa di un Parma che ha concesso, che è stato schiacciato e messo all’angolo.

Il rammarico è quello di aver messo poco in difficoltà una squadra più forte di noi, come abbiamo fatto in passato con altre squadre forti. Non è una questione di assenze o quant’altro, dobbiamo avere l’umiltà di accettare il risultato non per le assenze ma per quello che non abbiamo fatto in campo” dice D’Aversa a fine partita. Il pensiero del tecnico può sostenere due concetti. Il primo: l’approccio non è stato dei migliori, nonostante i primi dieci, quindici minuti. Il muro del Parma non è stato muro, è stato demolito dai colpi di Gomez e Ilicic, non ha retto l’urto e si è sgretolato in appena 43’. Il secondo: “dobbiamo avere l’umiltà di accettare il risultato per quello che non abbiamo fatto in campo” ha detto il tecnico. E’ chiaro che il messaggio sia rivolto ai giocatori: alcuni di loro sono sembrati surclassati, inadatti per fare ‘la guerra’ ai giganti. E implicitamente contiene anche un appello a direttore e società, che dice chiaramente: servono rinforzi. 

E’ difficile trovare una nota positiva dopo la disfatta di lunedì, il rientro di Inglese non è abbastanza per sorridere, non di fronte a un netto 5-0 che diventa ancora più schiacciante se evidenziato dai numeri. Ma il settimo posto, almeno quello è salvo: non sarà l’ambizione finale del Parma, ma è pur sempre un fatto abbinato ai 25 punti raccolti dal Parma in 18 partite. Undici sulla terzultima, dieci in più del Lecce, prossimo avversario contro cui il Parma sarà chiamato a rivangare l’umiltà, quella che secondo D’Aversa è mancata lunedì. “Sono inc…to nero, mi aspettavo qualcosa in più, ma il primo responsabile sono io”. Ricorderete quando  D’Aversa, dopo la gara con la Spal disse: “Di questi jolly ce ne possiamo permettere uno o due a campionato”. Bene, dal mazzo adesso bisogna pescare le carte giuste per evitare che si ripetano certe situazioni. I jolly sembrano finiti.  

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