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I 50 anni di Melli: “L’emozione più grande? Il gol alla Reggiana nel ’90”

L’indimenticato ex bomber gialloblù si racconta in una lunga intervista alla Gazzetta di Parma. “L’amore della gente è il regalo più bello”

Domani Alessandro Melli compie 50 anni e la Gazzetta di Parma ha deciso di celebrare questo traguardo con una lunga intervista all’indimenticato ex bomber del Parma. Sempre nel cuore dei tifosi. “L’altro giorno due compagni di scuola di mia figlia che avranno avuto 8-9 anni mi hanno chiesto l’autografo. E’ stato bello, l’amore che la gente di Parma mi dimostra così spesso è il regalo che tengo più stretto per questi 50 anni“.

IDOLO.Barbuti. Con gli amici scavalcavamo la “mura” del Tardini alla Pezzani: adoravo andare a vedere il suo riscaldamento e me lo mangiavo con gli occhi. Se lo paragoniamo ai riscaldamenti di oggi vien da ridere. Lui si limitava a qualche palleggio. Era bravo a fare dei numeri e tanto bastava a incantarmi. In realtà per i modelli tecnici guardavo più su. Ero juventino e in quell’epoca c’erano Platini, Rossi, Boniek e tanti altri“.

CERESINI. “C’è stato un periodo in cui mi ero un po’ smarrito. Ceresini e mio padre un giorno vennero a parlarmi. Era l’anno del militare, covavo l’idea di smettere, ero demoralizzato: loro invece toccarono le corde giuste, mi diedero la carica. Ernesto poi fece un patto con Scala, al suo arrivo a Parma, promettendogli un grosso premio se mi avesse rivalorizzato. E anche questo mi stimolò a farmi ripartire. Avevo 19 anni ma ero anche convinto che per me fosse uno degli ultimi treni“.

EMOZIONE PIU’ BELLA.Il gol alla Reggiana nel ’90. Un ragazzo parmigiano solo nei sogni può vivere la gioia di dare la prima serie A alla sua squadra sotto la Nord in un derby“.

RIMPIANTI. Sono stato infantile in troppi momenti. E se un pizzico di incoscienza mi ha aiutato nel mio modo di giocare, credo però di aver sfruttato solo il 50% del mio potenziale. E’ veramente poco ed è solo colpa mia. Avevo l’immenso difetto di non accettare la panchina. Mi sgonfiavo, invece di caricarmi per mostrare all’allenatore che aveva sbagliato. Mi deprimevo e quando entravo in campo non ero più io“.

TEAM MANAGER.Come dirigente ho dato assolutamente tutto, anima e corpo. Quando è arrivato Ranieri penso di avergli dato una grossa mano. Conosceva ben poco della nostra realtà e della rosa. Si è affidato molto a me, a volte ha anche accolto i miei consigli sulla formazione. E anche nel trapasso da Cagni a Guidolin credo di esser stato importante, contribuendo, stavolta fuori dal campo, alla seconda promozione in A“.

FUORI DAL PARMA.Il tempo guarisce tante ferite ma io ci avevo fatto una malattia. La cosa peggiore è stata sentirmi tradito da persone che stimavo. Era un diritto della nuova società scegliere persone diverse da me, ma non prendermi in giro dopo tutto quello che ho fatto. Da Scala e Minotti dopo varie promesse mi aspettavo un trattamento diverso. Ma non tutto il male viene per nuocere. Ho scoperto un mondo diverso, nel momento del bisogno una mano me l’ha data gente che non conoscevo neppure offrendomi un lavoro fuori dal calcio. Questo essermi riciclato fuori dalla comfort zone mi rende orgoglioso. Poi alleno una squadra di Giovanissimi a Sala Baganza. Mi piace da matti. Resto tifosissimo del Parma, ma nel cuore ho una cicatrice“.

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